Inki At The Circus
Informazioni sintetiche
- Title card di Inki At The Circus nella serie Blue Ribbon
- Prodotto da: Warner Bros Studios
- Distribuito da: Warner Bros.
- Regia di: Charles Martin Jones
- Sceneggiatura di: Michael Maltese, Tedd Pierce
- Animazioni di: Phil Monroe, Ben Washam, Ken Harris, Loyd Vaughan
- Fondali di: Paul Julian
- Musiche originali di: Carl W. Stalling
- Prodotto da: Edward Selzer
- Pubblicato il: 21 giugno 1947
- Serie: Merrie Melodies
- Durata: 7:38
Inki si ritrova in gabbia presso un circo mostrato come un feroce selvaggio africano cannibale. L'osso che porta tra i capelli attira un paio di cani che lotteranno per spartirselo. Importato dall'Africa in una possente cassaforte vi è anche il Minah Bird che darà del filo da torcere a tutti per impadronirsi dell'osso di Inki.
Quarto episodio edito nel 1947 nelle Merrie Melodies e ripubblicato senza crediti nelle Merrie Melodies Blue Ribbon. È un curioso cambio di scena: dalla giungla ad un circo, evidentemente le ultime cartucce per tentare di rinnovare la serie. Funziona bene per tutta la prima metà, poi si scivola in una sequela di gag-circensi classiche che francamente non dicono nulla. Carino il finale.
I disegni e le scene si discostano dall'episodio precedente, torna un utilizzo del colore più realistico e una cura maggiore nelle forme. Tutto rimane comunque molto aderente allo stile di Chuck Jones specialmente nelle espressioni dei personaggi. Fanno la prima (e unica) apparizione nella serie i mitici candelotti rossi di dinamite che tanto hanno fatto dannare Willie il Coyote.
Una nota interpetativa, il cartone si apre con una panoramica verticale che introduce il luogo (il circo) mostrando una serie di cartelli riferentisi ad una particolare attrazione: «Ferocious African Cannibal» e «African Wildman» (rispettivamente Feroce Cannibale Africano e Selvaggio Africano) è quanto si legge. La panoramica si conlcude sul povero Inki chiuso in gabbia, solo ed annoiato. Quanto mostrato, pare non essere una delle innumerevoli rappresentazioni discriminanti dell'afroamericano, che tanto andavano nei primi decenni del Novecento, poiché alla fine viene mostrato non un vero selvaggio, ma soltanto Inki, cioè quanto di più lontano da un selvaggio, o soprattutto un cannibale. In questo leggo una lieve satira (probabilmente involontaria, dovuta al gusto del paradosso di Jones) nei confronti di chi ancora si ostinava a rappresentare gli afroamericani nella maniera derivante dal Blackface.