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recensione

Gabriel Knight 2: The Beast Within

Gabriel Knight, che oramai ha ereditato a tutti gli effetti il titolo di Schattenjager dei Ritter, riceve la visita di un gruppo sparuto di persone che lo prega di occuparsi di un atroce omicidio commesso da un licantropo. Gabriel, tra il serio e il faceto, come suo solito, accetta il caso e si reca dunque a Monaco per indagare.

Avevamo lasciato Gabriel Knight in preda al blocco dello scrittore in una scalcagnata libreria di New Orleans a dibattersi tra sacerdotesse vudù, crimine organizzato e crisi spirituali (con cui confeziona un best seller che lo allontana decisamente dalla soglia dell'indigenza). Lo ritroviamo signore di un castello in Baviera come ultimo discendente di un'antichissima schiatta di nobili locali, ma nuovamente in deficit di ispirazione per il prossimo libro, che per la seconda volta spera di colmare col nuovo caso da sbrogliare.

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Ancor più inattesa del cambio di ambientazione, dalla Louisiana ad un paese incastonato sulle Alpi tedesche, è la tecnologia con cui è prodotto il gioco. La Sierra, travolta in quegli anni — come molti altri sviluppatori — dalla “rivoluzione multimediale”, aveva già pubblicato Phantasmagoria, un film interattivo interpretato da attori in carne ed ossa, e Gabriel Knight 2 di poco successivo ne utilizza la medesima struttura, solo un poco più avanzata. Gli attori si muovono su fondali realizzati a partire da fotografie di ambienti reali ritoccate per formare panoramiche o per includere elementi estranei. Sebbene il gioco fosse una produzione di prima categoria sapientemente realizzata, non è esente dai difetti tipici del film interattivo: la recitazione degli attori da un lato e l'aspetto posticcio della loro integrazione con i fondali. Se quest'ultimo può essere giustificato dai limti tecnici imposti dall'epoca, il primo invece pesa notevolmente.

Dean Erickson, che interpreta Gabriel, riesce a distruggere in un solo colpo il fascino languido dell'interpretazione fornita da Tim Curry col doppiaggio in Sins Of The Fathers. Le smorfie, e non le espressioni, sono sempre molto accentuate e spesso fuori luogo. Lievemente migliore il lavoro di Johanne Takahashi, Grace Nakimura, che in questo episodio diventa personaggio giocabile, nel senso che alle smorfie preferisce una recitazione meno caricaturale ma ancora enfatica. I personaggi di contorno sono chiaramente peggiori, attori da telenovelas spaesati oppure troppo convinti (il ricercatore dell'Università di Monaco sembra Mister Bean, Ubergrau uno spaventapasseri, il padre della bambina uccisa Jimmy il Fenomeno, il Commissario Leber un Bombolo autoritario; incommentabili Ludwig II e gli Smith); ma ci sono alcune eccezioni: Peter Lucas (Von Glower), ad esempio, che riesce più volte a rubare la scena al cicisbeo Gabriel nonché ad ammaliare le videogiocatrici; ma anche Andrea Martin (Gerde), dall'anima affranta dal dolore.

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Mediamente non migliore, cioè peggiore, la regia di Will Binder. Probabilmente a causa della compressione estrema dei filmati, che lascia pixel evidenti, le riprese in movimento sono quasi assenti: un salto indietro al cinematografo dei Lumière, per capirci. La tecnica del campo-controcampo è usata in tutte le salse, ma sono le angolazioni, sempre identiche, a stupire per l'effetto a tratti disorientante che riescono a creare. Fastidioso, poi, l'indugiare della macchina da presa su Gabriel o Grace alla fine di ogni dialogo in attesa talora dell'ennesima smorfia di Erickson, talaltra di un sospiro di delusione o di un'esplosione di gioia di Johanne Takahashi. Effetto telenovela, ancora, come se a sottolinearlo non ci pensasse abbastanza la sciatta fotografia.

Nonostante i difetti, però, Gabriel Knight è uno dei pochi film interattivi che valga davvero la pena di giocare, uno dei pochi che si dovrebbe sempre citare parlando del filone, assieme a Phantasmagoria e alle avventure di Tex Murphy e pochi altri, non solo a causa dello sforzo produttivo non comune per l'epoca, ma soprattutto per la storia scritta da Jane Jensen. Stavolta l'autrice alza il tiro, andando a toccare re Ludwig II di Baviera, attingendo ad alcuni episodi degli ultimi anni della sua vita, e Richard Wagner impastando tutto con molta fantasia. Ci sono alcune scene forti degne di Dario Argento (da qui probabilmente il divieto di vendita ai minori) e nella parte finale la tensione è tutta un crescendo.

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Rispetto a Sins Of The Fathers, The Beast Within possiede una componente soprannaturale più accentuata e forse ciò ne costituisce un limite: a volte i protagonisti sono costretti a scadere nel ridicolo facendo domande sui licantropi ai quattro venti; le conclusioni poi sono spesso molto affrettate ma sempre esatte e si contano alcune scene decisamente improbabili (uno storico esperto della vita di Ludwig II non ha mai pensato di contattare l'unico uomo che avesse letto e tradotto in inglese il diario del re?).

Ad ogni modo, il game design è ben amalgamato con la vicenda. L'avventura è difatti un giallo investigativo e gli enigmi sono perciò tutti legati alla raccolta di indizi o agli espedienti necessari per raccoglierli. Si parla molto, con molti personaggi e si visitano molti luoghi, tra cui i castelli di Ludwig II. Fortunatamente Jensen si è ben vista dal farsi prendere la mano con le chiacchiere, i dialoghi sono infatti tutti molto brevi, a differenza del predecessore; così come i luoghi da visitare non sono mai troppo dispersivi. Tutto ciò offre una bassa difficoltà generale, dovuta anche alla struttura a blocchi temporali simile a quella di Sins Of The Fathers per cui non è possibile proseguire se prima non sono state compiute tutte le azioni previste.

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Uno dei punti di forza di Sins Of The Fathers era la dovizia con cui Jensen era riuscita a modellare la psicologia dei vari personaggi, dotandoli di quella ambiguità che li rendeva profondi e verosimili. In The Beast Within questo lavoro si avverte in misura minore: Gabriel e Grace sono già stati ben delineati e qui si ripresentano grossomodo immutati, se si eccettua il rapporto mutuo di protezione-repulsione. Gli altri personaggi sono più affettati. In Sins Of The Fathers non avrebbe mai trovato posto un individuo come Preiss, la cui depravazione sessuale gli si legge stampata in faccia dalla prima scena, o come Von Zell dall'irascibilità intollerabile ed esagerata. Alla fine, ci si affeziona alla figura di Ludwig II, tormentato da una vita di profondo dissidio interiore, che però è un personaggio realmente esistito e solo in parte romanzato.

Altro punto di forza di Sins Of The Fathers era la colonna sonora composta da Robert Holmes che in The Beast Within ritroviamo in ottima forma con le classiche ballate per pianoforte. Alcuni motivi sono ripresi dal primo capitolo e ricompaiono in versione riarrangiata. Ma il vero tocco di classe è la scrittura di un'opera lirica vera e propria.

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Molto buono il doppiaggio italiano curato da Binari Sonori. E sorge qua il dubbio che la qualità dei doppiatori possa in qualche modo aver influito positivamente sulla qualità degli attori. Altra perplessità è legata alla scelta di far parlare tutti i personaggi tedeschi in un italiano perfetto ad eccezione del Commissario Leber, il cui accento tedesco lo rende un personaggio involontariamente comico, una sorta di Oliver Hardy buggerato da uno Stan Laurel/Gabriel Knight.

Di tempo ne è passato molto, ma Gabriel Knight 2 è ricordato con affetto, e a ragione, dai videogiocatori d'annata, sia per la spettacolarità dei filmati (visti raramente all'epoca) sia per la qualità dell'avventura grafica in sé. I difetti di cui abbiamo abbondantemente parlato sono comuni a tutti i film interattivi della metà degli anni Novanta, un po' causati dalle forti limitazioni tecniche, un po' dalla produzione al risparmio. Anche se non siamo di fronte alla migliore avventura grafica della Sierra, Gabriel Knight 2 rimane sempre un ottimo esempio di game design asservito ad una componente narrativa forte. E si apprezza ancora di più per l'intento di Jensen di realizzare un videogioco espressamente per adulti, allontanandosi dalla demenzialità della LucasArts e di molti altri sviluppatori.

Appendice

Come potrebbe mancare una galleria delle migliori smorfie degli attori di Gabriel Knight 2 in fondo ad una recensione di Gabriel Knight 2? Partiamo dai protagonisti: Gabriel e Grace.

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La salsicciaia e il sindaco di Rittersberg.

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Kommissar “Bombolo” Leber e la signora Smith.

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Il corrucciato Avv. Ubergrau e il dolcissimo Dorn.

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