-::Gharlic Heimli::-
recensione

Serena

Al chiuso di un rifugio sperduto nel folto del bosco, uno scrittore colpito da profondi vuoti di memoria avvia un'introspezione al fine di ricostruire i suoi ultimi istanti di vita affettiva con Serena, che è scomparsa apparentemente senza motivo alcuno.

Avevamo lasciato Augustín Cordes a brancolare tra un gustoso blog e qualche consulenza per altri game designer, ma la sola simpatia del personaggio era lungi dal soddisfare le aspettative dei molti che desideravano un seguito, anche spirituale, di quel gioiellino che è Scratches (Nucleosys, 2006). Per anni sono corse voci su un nuovo progetto del programmatore argentino e della sua nuova compagnia — la Senscape Interactive — e la curiosità è andata aumentando per quello che, all'inizio conosciuto come Unnamable Project e poi Face The Horror, si è finalmente palesato sotto il nome di Asylum, ufficializzato anche da una raccolta fondi su Kickstarter conclusasi con successo.

Ad ogni modo, prima di poter mettere le mani su Asylum, Cordes ha rilasciato un gioco gratuito, questo Serena, da un lato per omaggiare i fan in attesa, dall'altro per dimostrare la bontà del motore di gioco, il Dagon. Due parole su quest'ultimo vale la pena spenderle: si tratta di un motore pseudo 3D sviluppato dalla Senscape stessa disponibile in forma gratuita — e in futuro open source — per chiunque voglia realizzare delle avventure grafiche in soggettiva. Questo motore è lo stesso che fa da base ad Asylum nonché a Serena. Al momento, in tutta onestà, c'è da dire che i risultati lasciano perplessi. L'interfaccia di gioco è esattamente identica a quella di Scratches, gli ambienti possono essere esplorati un passo alla volta, come nel vecchio Myst (Cyan, 1993), ed è possibile osservarli in tutte le direzioni; siamo quindi tornati ai tempi di Zork Nemesis (Activision, 1996), per capirci. Le perplessità sono legate all'anacronismo del Dagon rispetto ad un motore totalmente in 3D (come può essere Unity) e alle sue evidenti limitazioni per quanto riguarda gli effetti visivi d'ambiente. D'altra parte la caratteristica del movimento non continuo può giocare maggiormente a favore del senso di apprensione rispetto ad un motore totalmente tridimensionale che non pone limiti nello spostamento. Per di più dalla sua ha la semplicità di utilizzo considerato che il linguaggio di programmazione è il Lua.

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Ma tornando a Serena, che ci interessa di più, accolto il tentativo esplicito di dimostrazione del Dagon con una certa freddezza, implicitamente è molto più apprezzabile la constatazione che il talento narrativo di Cordes non si è essiccato. Pur trattandosi di un gioco gratuito, e per stessa natura poco più di un demo, fin dalle prime note di musica in apertura la mente torna immediatamente all'atmosfera sospesa di Scratches e di quel genere di horror psicologico caratterizzato dall'assenza del raccapriccio puro e di matrice più grossolana (i consueti “balzi sulla sedia” o il gore) compensata da un forte senso di angoscia crescente, da un'inquietudine strisciante che pone in uno stato di tensione continuato, sebbene meno intenso.

Siamo lontani da esperienze omologhe quali Slender: The Eight Pages (Parsec Production, 2012) o One Late Night (Black Curtain Studio, 2013) dal momento che Serena è un gioco eminentemente narrativo. Il meccanismo di generazione dello stato di tensione è costituito essenzialmente dai ricordi mutevoli del protagonista e soprattutto dalla reazione che provocano in lui. Dispiace non poter dire di più, ché l'analisi, sebbene interessante data la singolare struttura di gioco in cui, al pari di un Dear Esther (The Chinese Room, 2012), non compaiono enigmi e l'interazione ha senso solo in quanto parte di un'attività esplorativa, rivelerebbe sicuramente particolari degni di nota di cui è bene non dire in questa sede.

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Tolto il piacere di scoprire assieme al frusto scrittore cosa sia accaduto riguardo a Serena se ne va sostanzialmente l'unico trastullo che il gioco propone, dato che per il resto non c'è niente di degno di nota, nel senso che niente varca il confine della mera funzionalità in senso spettacolare: grafica cupa quanto basta, col tipico gusto quasi feticistico per il damascato che in Scratches la faceva da padrone; colonna sonora in perfetta aderenza al genere trattato (dunque pianoforte melanconico, archi conturbanti e anche un lugubre canto gregoriano).

È da segnalare il doppiaggio inglese, invero criticato da qualcuno, che riesce però a ben caratterizzare un personaggio sostanzialmente senza volto né fattezze. Farà piacere all'appassionato di avventure grafiche di vecchia data sapere che tra i doppiatori si trovano Josh Mandel (che svolge ottimamente il 95% del lavoro) e Scott Murphy, entrambi game designer alla Sierra On-Line. Ma le collaborazioni sono molteplici, come indicato sul sito ufficiale del gioco.

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Serena è principalmente un demo, si è già detto, ma in realtà cela in sé una progettazione accurata e un gusto nella sceneggiatura che, nonostante la maturità del mezzo, continua ad essere raro, e per efficacia e per sostanza. Se Scratches era dichiaratamente ispirato a Lovecraft, Serena trae i propri spunti da Poe; le differenze sono sottili eppure molto nette, come sanno bene gli appassionati, tra i quali va di sicuro inserito Augustín Cordes. In definitiva, è un ottimo passatempo, vista anche la durata di un'oretta circa e ha il merito di rassicurare il videogiocatore in attesa di Asylum quantomeno riguardo alla parte narrativa, sperando che tecnicamente ci sia un po' più d'impegno, francamente.