Demetrios: The BIG Cynical Adventure - The Cynical Review
L'antiquario parigino Bjorn Thonen, fanfarone e fannullone senza rimedio, entra casualmente in possesso di una delle cinque tavolette appartenute al re Demetrios, le quali, una volta riunite, condurrebbero ad un fantomatico tesoro, ma anche alla distruzione del mondo, ovviamente. C'è da salvare la Terra un'altra volta...
Demetrios: The BIG Cynical Adventure, realizzata sostanzialmente da un unico autore, Fabrice Breton (in arte Cowcat), racconta di un misterioso re che aveva accumulato enormi ricchezze, le quali adesso sono ancora sepolte nel deserto della città fittizia di Rhubat, all'interno di un tempio che si localizza con cinque tavolette recanti i simboli degli elementi ideali di Demetrios: il fuoco, la neve, il fulmine, il trono e la merda. E con questo si potrebbe sintetizzare il rozzo umorismo propinatoci a dosi massicce. Le solite battutacce e freddure senza il piglio sarcastico dell'osservatore disilluso o del misantropo infelice, senza nessuna volontà satirica o provocatoria, ma solo lo sciocco umorismo di qualcuno che ancora non ha superato la prima adolescenza e che probabilmente ancora si diverte a tirare palline di carta impregnate di saliva.
Nella campagna Kickstarter, con cui Breton ha raccolto circa 4000€ per terminare il suo progetto, si tenta di solleticare la curiosità dell'utente proponendo un gioco pieno di cose stupide da fare, cose stupide da dire, personaggi stupidi con cui parlare. Si evita di dire che è un gioco stupido, ma questo lo diciamo noi. L'autore elenca poi le proprie ispirazioni: Broken Sword, Myst, Hotel Dusk, Runaway, Gabriel Knight, Discworld, Phoenix Wright. Rieccoci, dunque, per l'ennesima volta a recensire un'avventura grafica umoristica ispirata ai classici del passato che puntualmente di quei classici non ha nemmeno la puzza. Effettivamente elementi presi qua e là si riscontrano in Demetrios: abbiamo l'avventura on the road alla Broken Sword e alla Runaway, un mistero inumidito d'occulto alla Gabriel Knight, l'umorismo paradossale di Discworld e un'interfaccia da visual novel alla Hotel Dusk, ma la scrittura che dovrebbe far da collante a tutti questi elementi scivola ben presto nell'inconsistenza, mandando a farsi benedire l'interesse del giocatore verso la vicenda, la voglia di proseguire e di consigliare questo gioco che non mantiene quasi nulla di ciò che promette.
Tutto ciò, naturalmente a posteriori, non sorprende. Il problema fondamentale risiede nei personaggi, ma soprattutto nel protagonista Bjorn, che è una sorta di degenerazione del baby boomer, guastato da un'idiozia che non attira simpatie né risulta credibile, senza profondità psicologica, smarrito dentro alle balle che l'autore gli mette in bocca per strappare disperatamente un sorriso al giocatore, probabilmente stordito dalla propria logorrea (per una volta tanto l'assenza di doppiaggio è un pregio). Quantità sopra la qualità è il segno particolare di questo genere di avventure. E le trovatine non sono solo verbali, ma anche figurative, con rimandi più o meno espliciti a organi sessuali, alla defecazione, ad un degrado iconoclasta che volgarizza praticamente qualsiasi cosa ma che non ha nessuno scopo preciso.
Questo squallore è reso graficamente attraverso disegni a mano di esemplare bruttezza che ricordano certi CD-Rom multimediali anni 90 da due lire. Animazioni vieppiù scarse e rare come si addiceva ad un gioco di trent'anni fa. Gli intermezzi mostrano meno movimento delle cut-scene di un Maniac Mansion, data la scelta stilistico-inflazionata di renderle vignette di un fumetto. Ma come il moscone sullo sterco spicca la rappresentazione dei personaggi, apparentemente disegnati con foga, poco definiti, poco caratterizzati, piatti, storti, sproporzionati. Su tutto grava una crudezza ingenua che dovrebbe in qualche modo sostenere e rafforzare l'umorismo a tratti scatologico e le caustiche freddure/panzane del protagnista.
La Parigi in Demetrios, quasi come una sorta di Paese delle meraviglie, è popolata da esseri che non hanno funzionalità, che occupano spazi arbitrari, che pretendono soddisfatte le più assurde richieste. Questo fatto, unitamente alla povertà assoluta del protagonista (un cliché dell'avventura grafica, in cui il furto e il raggiro sono gli unici due metodi efficaci per ottenere oggetti) ostacola la nostra ricerca delle tavolette, il nostro proposito di salvare il mondo e sotto sotto di arricchirci notevolmente, perché questa è un'avventura cinica. Ci si stanca ben presto di dover accontentare tutti nelle loro esose richieste, poiché non hanno mai nessuna finalità tolta quella di rendere più consistente la longevità di un titolo che altrimenti, invece delle sette-otto ore richieste, durerebbe grossomodo quanto una cena al ristorante.
Gli enigmi sono una mescolanza di Broken Sword e Myst. Alle classiche "manovre d'inventario" si uniscono risoluzioni più o meno logico-interpretative. La difficoltà è comunque bassa, anche per via della limitatezza dell'azione di gioco e della quantità di oggetti (alcuni dei quali ci verranno appresso fin dai primi istanti). Gli ambienti non sono poi molti, nel dipanarsi della vicenda attraverso i sei capitoli in cui è suddivisa, da Parigi si passa alla città fittizia di Rhubat e da qui di nuovo a Parigi dopo una brevissima parentesi in Germania.
Per rendere meno statica l'azione di gioco, da un lato alcuni mini game intervengono di quando in quando come in alcune vecchie avventure Sierra. Suprefluo dire che in questo clima sciatto, nessuno di questi riesce veramente ad essere appassionante, per di più hanno pochissima o nessuna aderenza con i nostri scopi principali. Dall'altro lato ci sono degli achievement collaterali che potrebbero stuzzicare il giocatore più maniaco. Ad esempio potrebbe essere divertente vedere quante volte sia possibile uccidere Bjorn e quindi collezionare tutti i game over, oppure riuscire ad individuare tutti i biscottini al cioccolato nascosti in ogni schermata di gioco (si ricorda che giochiamo in prima persona, appunto, come in una visual novel) che fungono anche da indizi per risolvere enigmi se ingeriti.
Alcune battute ed alcune situazioni riescono ad essere divertenti. Vedere Bjorn che assaggia qualsiasi cosa può provocare qualche risatina, come la provocava leccare qualsiasi cosa in Space Quest e volentieri ci si indugiava. Anche qualche game over è divertente, come ad esempio ficcare le dita nelle prese elettriche o azionare volontariamente degli ordigni «per vedere di nascosto l'effetto che fa», ma si tratta comunque di ammennicoli che non possono, evidentemente, far granché da soli.
Sorvolando sull'impalpabile colonna sonora, sempre ad opera di Breton, si conclude ancora una volta sottolineando quanto dicemmo per Randal's Monday: non basta ammettere di rifarsi ai classici del passato se non c'è una struttura solida, dei personaggi giustificatamente inseriti nel loro ambiente e una trama costruita in modo adeguato. Demetrios fallisce su tutti i fronti, come grossomodo falliscono tutti quanti tentino di confrontarsi, anche involontariamente, col passato. Non perché il passato dell'avventura grafica sia una sorta di tempio inviolabile, nonostante gusti del pubblico, tempi di fruizione e industria videoludica siano profondamente cambiati; ma piuttosto perché non si riesce a comprenderlo a fondo, mancano idee, manca uno studio rigoroso dei modelli di riferimento, mancano purtroppo le capacità d'analisi. Sarebbe più onorevole cercare di porsi in rottura con quel passato, come alcuni autori cercano di fare, ma evidentemente è necessaria una dose di consapevolezza di cui pochi sono dotati. Teletrasportandoci indietro nel tempo, Demetrios avrebbe trovato naturale collocazione dentro alle cestone dei giochi a 4900 lire.